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22-03-2022
La Cassazione su riqualificazione del fatto-reato e utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni
Cass., Sez. VI, sent. 20 gennaio 2021 (dep. 14 giugno 2021), n. 23244, Pres. Mogini, Est. Silvestri, ric. Urso La pronuncia in commento interviene, per la prima volta, a chiarire la questione: invero, già un precedente arresto giurisprudenziale, pur successivo alle Sezioni Unite Cavallo, aveva affrontato la questione ma si era limitato a ribadire apoditticamente la persistente validità dellinsegnamento giurisprudenziale tralatizio. La sentenza appena depositata si confronta invece con levoluzione giurisprudenziale più recente, traendo spunto dalla riqualificazione, ad opera della parte pubblica, nel reato di abuso dufficio di alcune incolpazioni cautelari originariamente qualificate, in sede autorizzativa delle captazioni, come corruzioni, posto che nellincedere dellinvestigazione le intercettazioni avevano sì documentato la contrarietà ai doveri dufficio dellattività del pubblico agente senza però accertare la promessa o la dazione del denaro o dellutilità. Secondo un approccio decisamente convincente e difficilmente controvertibile, la Corte evidenzia come il caso in esame non manifesti una radice comune con quello oggetto della pronuncia delle Sezioni Unite, posto che in questultimo caso si verte in ipotesi in cui, autorizzate le intercettazioni per un fatto-reato, ne emergano di nuovi ed ulteriori per effetto delle captazioni eseguite: rispetto a tali nuovi reati ci si deve (ci si doveva) interrogare rispetto alloperare di uno dei criteri di connessione ai sensi dellart. 12 c.p.p. Nel caso di derubricazione del fatto per come originariamente qualificato, invece, non vi è un nuovo reato che si aggiunge ad uno originario per cui già si procede ma si tratta dello stesso fatto-reato sin dallinizio autorizzato seppur poi diversamente qualificato. Proprio la sostanziale differenza del substrato sul quale si sono sviluppati i due insegnamenti rende ragione di come gli stessi non siano tra loro permeabili, con la conseguenza che quanto affermato dalle Sezioni Unite Cavallo non è applicabile anche alle ipotesi di derubricazione del fatto-reato a seguito delle captazioni. Mantiene pertanto validità lorientamento consolidato della Corte secondo cui, come già evidenziato, loriginaria motivazione in seno al decreto autorizzativo legittima la captazione rispetto al fatto storico pur qualora ricondotto ad uno schema normativo estraneo al catalogo dellart. 266 c.p.p.: in effetti, come condivisibilmente afferma la Corte, ciò che è indispensabile è che la qualificazione, pure provvisoria, del fatto risulti ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari che ne sorreggano la corretta formulazione da parte del pubblico ministero e la successiva verifica da parte del giudice chiamato ad autorizzare le operazioni, il cui giudizio prognostico è sulla probabilità che sia stato commesso uno dei reati previsti per legittimare unintercettazione, da gradare a seconda che si tratti di unipotesi di reato che normativamente richieda un substrato di gravi o sufficienti indizi. Qualora il vaglio giudiziale sia immune da censure, , secondo una valutazione ora per allora, e il fatto storico risulti sostanzialmente immutato rispetto a quello autorizzato, ma solo non completamente riscontrato per effetto di fisiologici mutamenti emersi proprio nel corso delle intercettazioni, le risultanze delle operazioni di intercettazione sono pienamente utilizzabili, posto che la compressione della libertà costituzionalmente garantita è assistita da un legittimo provvedimento dellautorità giudiziaria, sorretto da una congrua motivazione a supporto. La soluzione era, invero, già stata presa in esame da pronunce risalenti che evidenziavano come lipotesi di cui allart. 270 c.p.p. non fosse minimamente assimilabile a quella in esame, posto che in caso di utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti non sussiste alcuna originaria valutazione giudiziale circa la legittimità dellutilizzazione delle intercettazioni in relazione alla natura dei reati, in mancanza di un decreto autorizzativo. Diverso il caso in cui, invece, la divergenza tra il fatto-reato di cui si chiede lautorizzazione ad intercettare ed il fatto emergente dalle risultanze investigative si manifesti già al momento della richiesta ad intercettare, potendosi in tali casi palesare una elusione del disposto di legge la cui fisionomia è dunque patologica: in tali casi, il giudice per le indagini preliminari è tenuto a negare lautorizzazione e se non lo fa è ammesso un successivo sindacato volto a stabilire linutilizzabilità dei risultati delle operazioni pur disposte ed eseguite. Anche per tali ipotesi, lorientamento già accreditato da tempo in sede di legittimità afferma che ove gli elementi addotti dal pubblico ministero a sostegno della richiesta siano chiaramente riferibili ad una ipotesi di reato non annoverabile nellelenco dellart. 266 c.p.p. e ciononostante il giudice abbia autorizzato lattività intercettativa, è certo possibile allimputato di farne questione in ogni successiva fase o grado del procedimento. E se la doglianza è fondata, le intercettazioni dovranno essere dichiarate inutilizzabili; per effetto però non di una mutata qualificazione giuridica del fatto ma dellerrore commesso dal giudice al momento del decreto autorizzativo, da apprezzare con valutazione ora per allora e tenendo presente che esso deve risultare evidente ed incontrovertibile, sulla base degli elementi investigativi, portati illo tempore a conoscenza del giudice e tenuto conto della inevitabile fluidità delle ipotesi criminose in un momento normalmente posto alle prime battute dellattività investigativa. A tali conclusioni si potrà obiettare che il principio espresso dalle Sezioni Unite ha portata generale laddove afferma che lindiscriminato, in quanto svincolato dallosservanza dei limiti di ammissibilità previsti dalla legge, allargamento dellarea dei reati per i quali sarebbero utilizzabili i risultati delle intercettazioni incrinerebbe il bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco, vincolando così necessariamente lutilizzazione delle risultanze captative ai soli reati previsti dal legislatore, senza distinzione di sorta: ma va rilevato invero un vizio di fondo, laddove si confondono due piani profondamente diversi tra loro, ovvero quello dellammissibilità delle operazioni e quello dellutilizzabilità delle risultanze delle captazioni. Il primo, che opera allatto dellautorizzazione giudiziale, tanto che la stessa rubrica dellart. 266 c.p.p. parla espressamente di limiti di ammissibilità; il secondo, che interviene invece a posteriori ed in fase di valutazione di merito, che prescinde del tutto dalla riconducibilità del fatto-reato al catalogo dei reati autorizzabili, tanto più che lart. 271 c.p.p. questo sì in tema di divieti di utilizzazione non richiama espressamente i presupposti dellart. 266 c.p.p. e fa riferimento, per delimitare le ipotesi di inutilizzabilità, ai soli casi in cui le operazioni siano state eseguite (e non disposte) fuori dai casi consentiti dalla legge. Ne consegue che il vaglio di riconducibilità dellipotesi delittuosa configurata dagli inquirenti al catalogo dellart. 266 c.p.p. attiene alla sola fase embrionale dellintercettazione in cui il giudice è chiamato a verificare lammissibilità delle operazioni ed a darne congruo apprezzamento nellapparato motivazionale del decreto autorizzativo (o di convalida delle operazioni urgenti), ma una volta positivamente vagliata la richiesta del pubblico ministero, i successivi sviluppi dellimputazione non possono incidere a posteriori sullutilizzabilità delle risultanze delle operazioni (se non nei limiti patologici sopra indicati): non soltanto perché illogico ma anche, e soprattutto, perché non previsto dalla legge.